La puntata del
“Food Programme” dedicata ai grassi offre spunti di riflessione e … di azione. Sheila
Dillon (a cui appartiene il virgolettato del titolo) intervista John Stein professore
di fisiologia a Oxford, e Michael Mosley, medico, volto noto ai telespettatori
britannici. I temi di rilevanza nutrizionale sollevati dalla trasmissione sono
due. Il primo è la modificazione della tipologia dei grassi che oggi consumiamo
più frequentemente che, nelle parole di Stein, avrà conseguenze pari al
“cambiamento climatico”. Il secondo è la netta svalutazione, suggerita da nuova
evidenza scientifica, degli oli che sono comunemente pubblicizzati come i
migliori per friggere.
I grassi sono un costituente
irrinunciabile della nostra dieta. L’Organizzazione Mondiale della Sanità
raccomanda come fabbisogno biologico minimo di grassi il 15 per cento dell’introito
energetico totale. L’EFSA (European Food Safety Authority, 2010) raccomanda di
consumare ogni giorno grassi in quantità tale da fornire da soli tra il 20 e il
35 per cento del fabbisogno energetico. Ma non è solo la quantità a essere
importante. Occorre rafforzare la consapevolezza che la qualità dei grassi che
mangiamo è importante almeno quanto la quantità, poiché queste molecole non
sono una mera fonte di energia. Infatti, i grassi, o lipidi, sono importanti
come costituenti strutturali di tutte, ma proprio tutte, le nostre cellule, e
come tali contribuiscono al loro buon funzionamento. Inoltre, sono lipidi alcune
vitamine (per esempio la E e la K), e anche alcuni nutrienti essenziali (sostanze
che dobbiamo assumere con la dieta), gli acidi grassi essenziali appunto. I
nostri organi sono isolati termicamente e sostenuti dal grasso. Oltre a tutto
questo, il grasso rappresenta anche un’importante fonte di energia.
Tutte queste
funzioni sono svolte da molecole lipidiche diverse. Insomma, un “grasso” non
vale l’altro. Con l’alimentazione dobbiamo assumere gli acidi grassi essenziali
e anche i mattoni per fabbricare la molteplicità di molecole lipidiche che ci
servono. Allora, quali grassi scegliere per esempio per condire e cucinare? In
base ai criteri di prevenzione diffusi dagli enti pubblici che si occupano di
salute, da qualche decennio ci teniamo a distanza di sicurezza dai grassi di
origine animale come lardo, strutto e burro. Approfittando del discredito
gettato su di essi, l’industria ha inserito nelle proprie ricette oli e grassi
di origine vegetale che, quando diversi dall’olio di oliva, sono economicamente
e tecnologicamente molto convenienti per i produttori di alimenti trasformati. Dopo
anni di utilizzo massiccio, arrivano i risultati degli studi sugli oli vegetali
e sui loro effetti sulla salute, e iniziamo a dubitare dell’opportunità di
utilizzarli abitualmente.
Una delle
maggiori preoccupazioni circa il contenuto di lipidi della nostra alimentazione
è costituita dallo sbilanciamento tra due categorie (o serie) di grassi, gli “omega-3”
e gli “omega-6”. John Stein, professore emerito di fisiologia all’università di
Oxford, sostiene che il rapporto ideale tra omega-6 e omega-3 nella dieta è di
1:1, e che questa era probabilmente la proporzione tra le due serie durante la
nostra evoluzione.
Oggi, a causa del
forte aumento in quello che mangiamo di grassi omega-6 (principali fonti ne
sono i prodotti alimentari più o meno trasformati), l’equilibrio si è spostato
verso questi ultimi, mentre non consumiamo abbastanza omega-3. Per esempio consumando
il pesce solo occasionalmente, la maggior parte di noi si priva di una fonte di
acidi grassi omega-3 polinsaturi a catena lunga pronti all’uso, necessari a
svolgere fondamentali ruoli strutturali e funzionali. La conseguenza, continua
Stein, è che laddove nel nostro organismo dovrebbe esserci per esempio
l’omega-3 DHA, troviamo un acido grasso omega-6 che è privo delle
caratteristiche chimico-fisiche ed elettriche che un omega-3 possiede, caratteristiche
che sono importanti per il buon funzionamento, per esempio, delle membrane
cellulari. Secondo il professor Stein, è l’epidemiologia a mostrare i riflessi
più interessanti della questione: gli studi mostrano come il consumo abituale
di cibi ricchi di omega-3 sembra poter prevenire malattie come Alzheimer,
depressione, e disturbi dell’apprendimento. A essere importante, lo ripetiamo,
è l’equilibrio tra gli acidi grassi delle due serie. Con l’alimentazione
possiamo favorire lo spostamento dell’equilibrio verso gli omega-3. Per
esempio, suggerisce il professor Stein, tra gli oli da condimento è meglio scegliere
l’olio d’oliva che, grazie alla sua composizione (in cui prevalgono gli acidi
grassi della serie omega-9), può aiutare la sintesi degli omega-3 che ci
servono senza presentare gli effetti avversi degli oli ricchi in omega-6.
Gli oli alimentari
in commercio sono moltissimi: avocado, argan, canapa, colza, girasole, mais,
sesamo, oliva, cocco, e persino senape (che, però, in Europa può essere
commercializzato solo “per uso esterno”). La scelta, se si desidera
un’alternativa salutare all’olio d’oliva, dovrebbe cadere secondo Stein su oli
che siano fonti di acidi grassi omega-3 a catena corta, in particolare su fonti
di acido alfa-linolenico, che è uno dei due acidi grassi essenziali per noi
esseri umani (l’altro è l’acido linoleico). L’acido alfa-linolenico è molto
abbondante per esempio negli oli estratti dai semi di lino e di chia.
Per l’utilizzo a
crudo il messaggio è chiaro: olio d’oliva. E per le cotture? Sugli scaffali dei
supermercati troviamo un’enorme varietà di miscele di oli che, secondo quanto
si legge sull’etichetta posta sul fronte del contenitore, assicurano una
frittura perfetta, salutare e moderna. Durante la frittura l’olio raggiunge una
temperatura tra i 170 e i 190 °C. L’esposizione a temperature così alte
comporta delle modificazioni chimiche negli oli vegetali che, lo ricordiamo,
sono delicati e sensibili perfino all’azione ossidante della luce solare. Sono
proprio il tipo e il grado di tali modificazioni che dovrebbero suggerire i
criteri di scelta. Su questo argomento è interpellato il Dr Michael Mosley,
autore insieme ad altri colleghi di un esperimento sugli oli utilizzati per le
cotture casalinghe.
Mosley e colleghi
hanno chiesto a volontari di cucinare a casa propria con vari oli e grassi.
Nell’esperimento sono stati utilizzati olio di mais, olio di girasole, e olio
di vinacciolo, tutti e tre molto ricchi in acidi grassi polinsaturi; olio
d’oliva (molto ricco in monoinsaturi), burro e grasso d’oca (ricchi in acidi
grassi saturi). Ai partecipanti è stato chiesto di conservare per le analisi i
residui della cottura. Le analisi hanno rivelato che negli oli più ricchi di
polinsaturi, per esempio gli oli di girasole e di mais, l’esposizione alla
temperatura di cottura determina la formazione di abbondanti aldeidi. Le
aldeidi sono sostanze tossiche, in particolare sono associate a un maggior
rischio di malattie cardiovascolari e cancro. Invece dove la composizione è
dominata da acidi grassi saturi, noti per essere più stabili alle alte
temperature, la quantità di aldeidi era molto inferiore. Ugualmente, un alto
contenuto in acidi grassi monoinsaturi era associato a minore quantità di
aldeidi. In conclusione i “perdenti” di questo confronto sono stati due tra gli
oli più comunemente utilizzati per friggere, cioè l’olio di semi di girasole e l’olio
di mais. Tra i “vincitori” ci sono invece l’olio di oliva, il burro e il grasso
d’oca. Questi sono superiori anche sul piano del sapore: infatti, a parità di
metodo di preparazione, i cibi cucinati con i grassi/oli più salutari, secondo i
partecipanti all’esperimento, avevano un sapore migliore. Mosley e colleghi
hanno poi eseguito prove di riutilizzo degli oli di frittura. Questi test hanno
confermato l’inopportunità del riutilizzo, poiché una nuova esposizione alle
alte temperature causa incremento nel contenuto di aldeidi.
Le indicazioni
sono chiare e nel privato delle nostre cucine possiamo prendere le decisioni
giuste. Invece, per i prodotti alimentari industriali (per esempio merendine,
biscotti, prodotti precotti panati) è cruciale la lettura dell’etichetta e, per
spingere l’industria verso l’utilizzo di ingredienti migliori, sono
fondamentali la rinuncia all’acquisto e la ricerca di prodotti alternativi. Tali
scelte preventive non sono applicabili ai prodotti in vendita in bar,
pasticcerie e panetterie. Però vale la pena ricordare che è lecito formulare le
domande: “Che olio avete usato per friggere?”, “Che olio o grasso è stato
utilizzato per cucinare questa pizza?”, “Per favore, potrei consultare il libro
degli ingredienti?” Formulate in maniera discreta, queste domande dovrebbero, piano
piano, perdere il sapore dell’indagine con scopo diffamatorio immaginato dai
gestori degli esercizi che vendono prodotti sfusi.
I grassi
conferiscono ai cibi una particolare piacevolezza al palato e, nelle nostre
preparazioni, aiutano i diversi ingredienti a integrarsi. Da un punto di vista
nutrizionale, abbiamo visto che sono importantissimi, tanto che a qualunque
età, una dieta povera, o totalmente priva, di grassi non è compatibile con la
buona salute. Le testimonianze presentate qui rinnovano la fiducia in un
pilastro della cultura alimentare mediterranea, l’olio d’oliva. Invece occorre
consumare molto meno frequentemente i prodotti di un’industria che sceglie gli
ingredienti più a buon mercato e poi vanta favolose, ma assenti, proprietà
nutrizionali.
La trasmissione si può ascoltare all'indirizzo
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