lunedì 1 febbraio 2016

Correre per mangiare, mangiare per correre

Sollecitati da un’ascoltatrice, gli autori del Food Programme inseguono la dieta perfetta per gli atleti e gli appassionati di corsa. Le visioni riportate su quale sia l’alimentazione ideale sono contrastanti, tuttavia emergono utili indicazioni. Ascoltabile [qui]

Una predisposizione naturale

Quello che mangiamo conta per la qualità del nostro esercizio fisico, perciò è giusto chiedersi qual è la dieta ideale per chi vuole migliorarsi nella corsa. L’ascoltatrice Nicole percepisce cambiamenti nel proprio rendimento a seconda di quello che ha mangiato nelle ore precedenti l’allenamento. In primo luogo però, percepisce che la corsa, e in generale il movimento, sono una necessità per il corpo. Naturale, quindi, voler indagare se siamo nati per correre.
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Lo ha fatto, tra gli altri, il giornalista Christopher McDougall, autore di “Born to Run” (2010). E la risposta è positiva: ci siamo evoluti per correre. Correvamo per mangiare, tutti insieme, ognuno con il proprio obiettivo e le sue competenze. Privi di artigli e zanne, non particolarmente forti né tantomeno veloci, i nostri antenati riuscivano a catturare, per esempio, i grandi erbivori, perché erano dotati di superiore resistenza nella corsa. Grazie alla capacità di mantenere bassa la temperatura corporea, gli individui del gruppo, femmine e maschi, giovani e meno giovani, potevano correre per ore, fino a sfiancare la preda.

Mangiare per correre, 365 giorni l’anno

Nota questa predisposizione, quello che mangiamo può fare la differenza? Inghilterra 1973, Brendan Foster batte il record del mondo sulle due miglia. Oggi sessantottenne, Foster ricorda la ricetta della bevanda che lui e i suoi compagni consumavano dopo gli allenamenti: una versione di “shandy” [birra con aggiunta di bibita analcolica] preparata con una bustina di zucchero, limonata, poco alcol e potassio. Prima della nutrizione sportiva, l’istinto, il piacere e la percezione delle necessità del proprio corpo guidavano le scelte alimentari. Oggi, in preparazione per le Olimpiadi di Rio, per la squadra britannica lavorano ventidue nutrizionisti che pianificano l’alimentazione degli atleti che parteciperanno ai giochi e quella degli atleti che gareggeranno nei prossimi anni. Perché, come dice il loro capo, Kevin Currell, per vincere una medaglia conta l’alimentazione, quella di ogni giorno dell’anno. Currell non ha dubbi, i nutrienti più importanti, quelli che garantiscono la contrazione muscolare, sono gli zuccheri, cioè i carboidrati, semplici o complessi. Questi, al crescere dell’intensità dell’esercizio, diventano il carburante principale (mentre, quando l’intensità dell’attività è minore, si consumano i grassi). Attraverso la ricerca nutrizionale, Currell e colleghi, vogliono capire se e come si può incrementare la riserva del carburante muscolare, oppure come fare in modo che il serbatoio si svuoti più lentamente.

Frugalità, snack clandestini e la visione del guru

Lontano da queste investigazioni da laboratorio, è legittimo chiedersi cosa mangiano gli atleti che dominano le gare di resistenza in tutto il mondo, i keniani. Adharanand Finn, autore di “Running with the Kenyans” (2013), per un periodo si è trasferito con moglie e figli in Kenya, a Iten, 2400 metri sul livello del mare, per vivere e correre insieme ai migliori atleti locali. Dalla cucina del campo, una baracca con il pavimento in terra battuta e un focolare di legna al centro, uscivano le stesse pietanze ogni giorno della settimana, senza variazioni. Il programma prevedeva sveglia alle cinque e mezzo del mattino e corsa di 40 km, una distanza che gli atleti locali coprivano in due ore e quindici minuti.
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Questa velocità elevata adottata in allenamento è “incredibile” nelle parole di Finn, considerate anche l’altitudine e la strada sterrata. Al rientro al campo, i corridori si ristoravano con una tazza di tè e rimanevano a digiuno fino all’ora di pranzo. Questo consisteva in un enorme piatto di fagioli e riso, con verdura cotta insieme ai fagioli. Dopo la corsa del pomeriggio, si consumava una cena composta nel medesimo modo, magari accompagnata da ugali, un porridge ottenuto cuocendo in acqua un tipo di farina, per esempio di mais, sorgo o miglio. Due corse al giorno, due pasti al giorno: per i keniani era sufficiente. Invece per Finn era troppo poco, e la fame lo costringeva a furtive integrazioni notturne con panini con burro di noccioline.

È naturale chiedersi quale parte abbia nel successo degli atleti keniani questo regime alimentare molto ricco di carboidrati, e se esso contribuisca in qualche modo al loro stile di corsa caratterizzato, racconta Finn, da rapidi cambi di ritmo durante la gara. Tanto diversa è questa dieta da quella, bassa in carboidrati e alta in grassi, adottata da altri corridori.

Le montagne di Creta (www.crete-greece.net)

Ispirato dai resistenti cretesi della seconda guerra mondiale, che per sfuggire ai nazisti coprivano di corsa distanze fino a 50 km per nascondersi nelle montagne, Christopher McDougall ha descritto in “Natural Born Heroes” (2016) un’alimentazione in cui prevalevano formaggio, burro, carne di agnello, olio d’oliva, e vegetali: grassi e proteine erano, secondo la ricostruzione di McDougall, maggioritari rispetto ai carboidrati raffinati. McDougall l’ha interpretata come una dieta ricca di nutrienti a lento rilascio di energia, e poi si è chiesto se qualcuno avesse mai tentato di adattare una dieta di questa composizione alle esigenze dei fondisti d’élite. Phill Maffetone, un chiropratico, lo aveva fatto consentendo, secondo McDougall, ad alcuni tra gli atleti statunitensi più vincenti degli anni ottanta e novanta di raggiungere il massimo rendimento. Il guru Maffetone suggeriva agli atleti, a cominciare dai partecipanti alle prime gare di triathlon Ironman, di eliminare dalla propria dieta gli zuccheri semplici e tutte le fonti di carboidrati raffinati. Nella sua visione, la nuova dieta avrebbe anche favorito la risoluzione di dolori alle ginocchia, mal di schiena, rigidità del tendine d’Achille, il tipo di problemi che induceva gli atleti a rivolgersi al chiropratico Maffletone. Per testare l’efficacia di questo metodo, Maffletone suggerisce di eliminare dalla dieta per due settimane tutti i cibi ad alto indice glicemico, per esempio la pasta e il riso non integrali, e poi biscotti e ciambelle varie. Se al termine di questo periodo ci si sente meglio, “più leggeri, più magri, più agili” nell’esperienza dello stesso McDougall, vuole dire che la nuova alimentazione fa funzionare meglio il nostro corpo. La teoria di Maffletone è che questa dieta, coniugata con un allenamento a bassa intensità, consenta l’accesso al nostro grande serbatoio di energia, le riserve di grasso.

Il nutriente giusto: energia per scattare e per recuperare

Tuttavia, secondo gli esperti del laboratorio che segue l’alimentazione della squadra britannica, una dieta alta in grassi e povera di carboidrati non è adatta a vincere medaglie olimpiche. Secondo il Dr Currell, per una corsa di resistenza di 100 miglia può avere la sua logica accumulare grassi da bruciare durante le svariate ore di corsa. Il caso degli atleti olimpici, però, è diverso. Il metabolismo dei carboidrati domina la quasi totalità delle discipline olimpiche, ci dice Currell, e la questione cruciale è la capacità, o l’incapacità, di modificare la velocità di svolgimento della prova. Gli atleti che vincono sono quelli che a un certo punto della gara hanno “attaccato”, cioè hanno cambiato velocità e gli altri non sono riusciti a stargli dietro. Ma, per modificare il ritmo, occorre bruciare carboidrati. Fin dalla fine degli anni novanta si sa che è sufficiente una settimana di dieta ad alto contenuto di grassi per alterare, diminuendola, la capacità di un atleta di cambiare ritmo durante una gara. Inoltre, una dieta ricca di grassi sembra inibire la capacità dei muscoli di rimodellarsi [adattandosi alle necessità di lavoro muscolare stimolate dagli allenamenti]. Perciò, secondo Currell, è poco credibile che la performance possa essere migliorata da una dieta ricca in grassi e povera di carboidrati protratta per un lungo periodo.

Anche l’alimentazione post-allenamento va curata. Un pasto composto di carboidrati e proteine è quello che ci vuole per un recupero più veloce, cioè per tornare a correre di nuovo entro poco tempo. Le riserve di glicogeno, il combustibile dei muscoli, saranno rigenerate, e le fibre muscolari riparate e rimodellate grazie alle proteine e utilizzando l’energia dei carboidrati.

Glicogeno: gli esagoni sono le molecole di glucosio, da https://www.rpi.com

Si è visto, infatti, che una sola ora di ritardo nel fornire un apporto nutrizionale adeguato dopo l’esercizio ha effetti negativi sul sistema immunitario e sulle ossa. Secondo Currell, l’alimento ideale per il recupero, in particolare dopo una corsa, è il latte: una miscela in acqua di carboidrati, proteine e calcio.

Sintonizzarsi sul corpo

Per molti anni l’ascoltatrice Nicole, cinquant’anni, più di sessanta chilometri a settimana, ha sperimentato con la dieta per capire cosa le dà più energia. Nella sua esperienza, cibi diversi producono risultati differenti. Oggi, dopo anni di dieta onnivora, quella della sua famiglia di origine, e poi di dieta vegetariana, si prepara per la maratona di Londra mangiando ortaggi, legumi, noci, semi e frutta, suddivisi in nove pasti al giorno. Questa dieta vegana di 2500-3000 kcal giornaliere, che possono aumentare fino a 4000 kcal dopo una corsa particolarmente lunga, è in parte ispirata da Scott Jurek [foto], campione di ultramaratone, vegano e autore di “Eat and Run” (2012).
vagan-magazine.com

Secondo Jurek, non sono l’allenamento o l’esperienza a dotarlo di una resistenza “super umana”, ma la scelta di ogni boccone, l’idea che diventiamo il cibo che mangiamo e che il cibo può cambiarci e cambiare la qualità della performance. Per esempio, Jurek ha scelto la dieta vegana perché ha notato una maggiore velocità di recupero dopo l’attività e perché, racconta, questa è la dieta che gli ha assicurato la continuità dei risultati nel tempo.

Chi non mangia carne non vince?


I ricercatori sono sicuri che per correre veloci e vincere i carboidrati sono irrinunciabili. L’esperienza di molti atleti, poi, dimostra che una dieta in cui prevalgono i carboidrati da cibi integrali si concilia con i grandi risultati, così come un regime vegano. È importante, poi, prestare attenzione a cosa si mette nel piatto quando si devono soddisfare le necessità di recupero dell'organismo che ha lavorato intensamente. Fondamentale è anche mangiare gli alimenti giusti ogni giorno. Se manca la motivazione, possiamo farci ispirare da Mo Farah, altro fondista vincente, che in un anno si concede un solo “hamburger celebrativo”. Per il resto immaginiamo che Farah sia capace di cucinarsi da solo un piatto di pasta integrale al pomodoro perché, come consiglia ancora Currell, che siano carboidrati o grassi, il miglior piano nutrizionale fallirà se la persona a cui è destinato è incapace di cucinare il proprio cibo.