lunedì 20 gennaio 2014

Sangue fibre e … niente sapone: lo stile di vita che porta a un microbiota intestinale florido e robusto è quello dei cacciatori-raccoglitori della Tanzania?


Jeff Leach e altri ricercatori vogliono determinare le caratteristiche dei microbi intestinali degli Hadza, una delle ultime popolazioni di cacciatori-raccogliatori in Africa. La domanda da cui la ricerca è partita è se la dieta di questa popolazione che si procura il cibo esclusivamente con la caccia e la raccolta, e il microbiota intestinale che questa dieta determina, proteggono da alcune delle malattie croniche che affliggono noi abitanti del mondo industrializzato. Il nostro modo di mangiare, così diverso da quello dei cacciatori-raccoglitori, è responsabile della nostra suscettibilità a certe malattie?

Sarah Crespi di Science interroga il giornalista Jop de Vrieze che ha seguito il lavoro di campionamento e documentazione dell’antropologo Jeff Leach, uno dei fondatori dell’“American Gut Project” (http://humanfoodproject.com/) che ha lo scopo di mappare il microbioma (cioè il complesso dei geni dei microbi, ndt) intestinale di migliaia di statunitensi. Jeff visita gli insediamenti degli Hadza che vivono in Tanzania in piccoli gruppi formati da 10 fino a 50 persone, e raccoglie campioni di feci, campioni dalle mani, e campioni “ambientali", per esempio di cibo, animali, suolo e acqua. Inoltre acquisisce informazioni sulla dieta.

Vivere come cacciatori-raccoglitori significa non praticare agricoltura e non immagazzinare scorte alimentari. Che cosa mangiano gli Hadza? La stagione influenza fortemente la composizione della dieta. Durante la stagione secca, la frutta è scarsa ma la carne è abbondante poiché in questo periodo gli animali assetati sono più facili da catturare. Ci sono poi il miele e i tuberi che sono le donne a estrarre dal terreno e, occasionalmente, i frutti raccolti nella foresta. Nella stagione umida invece la carne è più scarsa e si consumano miele e frutti della foresta. L’aspetto più interessante della dieta degli Hadza, dal punto di vista microbiologico, emerge quando si annota che tra gli alimenti consumati in grande quantità c’è anche la polpa spugnosa e secca del frutto del baobab. Questo viene posto in acqua per ottenere un porridge estremamente ricco di fibre. I bambini ne mangiano moltissimo e hanno le pance gonfie non perché denutriti ma, sembra, come conseguenza della fermentazione delle fibre contenute negli alimenti che consumano. Le fibre presumibilmente, i dati ancora non ci sono, influenzano la composizione del microbiota e la loro abbondanza è uno degli aspetti più interessanti della dieta degli Hadza. Rispetto alla dieta media americana, per esempio, gli Hadza consumano oltre 100 grammi al giorno di fibre, quando la razione giornaliera raccomandata è di circa 30 grammi al giorno mentre uno statunitense medio ne mangia meno di 20 grammi al giorno.


 Un altro aspetto della microbiologia di questi gruppi riguarda il passaggio di microrganismi da un individuo all’altro (“the social network of microbes”): poiché non esistono misure igieniche paragonabili a quelle in uso da noi (per esempio doccia e uso di sapone) le persone continuamente si trasmettono microrganismi, e tuttavia non si ammalano, perciò Leach crede che debbano trarre un beneficio da queste interazioni.

Questo gruppo di cacciatori-raccoglitori conta 1000-1100 individui, di cui circa 200 si possono considerare cacciatori-raccoglitori puri, perché ottengono il 99,95 % delle calorie da attività di caccia e raccolta. Gli altri sono più occidentalizzati anche nella dieta e consumano per esempio alimenti a base di mais e bevande alcoliche. Questi non possono essere considerati cacciatori-raccoglitori ma sono comunque molto interessanti poiché hanno gli stessi geni e vivono nello stesso ambiente dei cacciatori-raccoglitori puri dai quali si differenziano per la dieta.

E’ naturale domandarsi se il microbiota intestinale dei cacciatori-raccoglitori Hadza sia simile a quello dei nostri antenati cacciatori-raccoglitori. Essi, secondo de Vrieze, sono probabilmente la migliore approssimazione che abbiamo, considerando che vivono nello stesso luogo dei nostri primi progenitori e che hanno uno stile di vita simile, in particolare per quel che riguarda la dieta, poiché consumano molte fibre, mangiano carne secondo la disponibilità e, in generale, seguono la stagione. Questi aspetti sono comuni più o meno a tutti i cacciatori raccoglitori. Tuttavia, una volta che i progenitori lasciarono l’Africa per colonizzare il resto del mondo, la loro alimentazione e il loro comportamento si modificarono. Perciò, non si può parlare di un unico microbioma ancestrale.

Uno dei motivi che ha sollecitato questa ricerca è l’incidenza molto bassa tra gli Hadza di alcune malattie croniche molto comuni. Potrebbe esserci un legame tra questa bassa incidenza e i loro microbi intestinali, tenendo presente anche altri elementi del loro stato di salute e l’aspettativa di vita. I dati sulle patologie croniche come il cancro, le malattie cardiovascolari e altre malattie moderne sono scarsi e ci dicono che l’incidenza è molto bassa. Questa però può essere spiegata dalla bassa speranza di vita alla nascita, trentaquattro anni. In particolare, la mortalità tra i bambini è molto alta a causa della malaria e di altre cause non note. Poi ci sono gli incidenti e le ferite che si infettano, per esempio, in seguito al morso di una iena. Tenendo presente questo scenario complesso, ci sono aspetti della salute degli Hadza che possono essere messi in relazione con il microbiota intestinale, in particolare quelli riguardanti l’autoimmunità e alle allergie. La teoria dice che quando il microbiota intestinale è molto eterogeneo e bilanciato, la funzione di barriera svolta dall’intestino è particolarmente efficace e non c’è passaggio nell’organismo di quelle sostanze prodotte da batteri che possono provocare l’infiammazione cronica che è, a sua volta, responsabile di molte malattie. Il microbiota intestinale potrebbe svolgere un ruolo in questo senso. L’abbondanza di fibre nella dieta, inoltre, determina la produzione di acidi grassi a catena corta che sembra svolgano una funzione benefica di regolazione di vari processi nell’organismo. La maggiore quantità di molecole di questo tipo negli Hadza potrebbe spiegare la minore incidenza di certe malattie nella popolazione.

Riguardo alla diversificazione del microbiota negli Hadza, il loro stile di vita gli procura il contatto con una grande varietà di microbi. Per esempio durante le battute di caccia
e, in particolare, durante la macellazione, che avviene nel luogo dove l’animale è stato ucciso, i cacciatori consumano crudi alcuni organi, altre parti invece sono arrostite un po’ sul fuoco. Poi, con il contenuto fibroso dello stomaco gli uomini si sfregano le mani insanguinate. Tutte queste attività li espongono a moltissimi microbi, e Leach ha ovviamente raccolto campioni anche in questa situazione, tanto diversa microbiologicamente dalle condizioni e dai modi in cui noi manipoliamo, trasformiamo e consumiamo il nostro cibo.

Sui campioni ottenuti da Leach vari laboratori svolgeranno le analisi delle sequenze genomiche a scopo tassonomico e per identificare la funzione dei geni. I risultati saranno confrontati con i dati disponibili sul microbiota occidentale e “americano”, e con quelli del progetto “American Gut Population” che includono anche dati di persone che seguono diete estreme. Per studiare l’impatto di microbi specifici saranno svolti esperimenti utilizzando topi “germ free”, cioè cresciuti senza microbi. Inoltre, si cercherà di chiarire aspetti della comunicazione tra i microbi e il corpo [dell’ospite] studiando particolari molecole prodotte dai batteri e dall’essere umano.

Podcast ascoltabile e scaricabile da

http://www.sciencemag.org/content/343/6168/331.2.short