giovedì 17 dicembre 2015

Grassi, “massimo piacere e buona salute”

La puntata del “Food Programme” dedicata ai grassi offre spunti di riflessione e … di azione. Sheila Dillon (a cui appartiene il virgolettato del titolo) intervista John Stein professore di fisiologia a Oxford, e Michael Mosley, medico, volto noto ai telespettatori britannici. I temi di rilevanza nutrizionale sollevati dalla trasmissione sono due. Il primo è la modificazione della tipologia dei grassi che oggi consumiamo più frequentemente che, nelle parole di Stein, avrà conseguenze pari al “cambiamento climatico”. Il secondo è la netta svalutazione, suggerita da nuova evidenza scientifica, degli oli che sono comunemente pubblicizzati come i migliori per friggere.

I grassi sono un costituente irrinunciabile della nostra dieta. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda come fabbisogno biologico minimo di grassi il 15 per cento dell’introito energetico totale. L’EFSA (European Food Safety Authority, 2010) raccomanda di consumare ogni giorno grassi in quantità tale da fornire da soli tra il 20 e il 35 per cento del fabbisogno energetico. Ma non è solo la quantità a essere importante. Occorre rafforzare la consapevolezza che la qualità dei grassi che mangiamo è importante almeno quanto la quantità, poiché queste molecole non sono una mera fonte di energia. Infatti, i grassi, o lipidi, sono importanti come costituenti strutturali di tutte, ma proprio tutte, le nostre cellule, e come tali contribuiscono al loro buon funzionamento. Inoltre, sono lipidi alcune vitamine (per esempio la E e la K), e anche alcuni nutrienti essenziali (sostanze che dobbiamo assumere con la dieta), gli acidi grassi essenziali appunto. I nostri organi sono isolati termicamente e sostenuti dal grasso. Oltre a tutto questo, il grasso rappresenta anche un’importante fonte di energia.

Tutte queste funzioni sono svolte da molecole lipidiche diverse. Insomma, un “grasso” non vale l’altro. Con l’alimentazione dobbiamo assumere gli acidi grassi essenziali e anche i mattoni per fabbricare la molteplicità di molecole lipidiche che ci servono. Allora, quali grassi scegliere per esempio per condire e cucinare? In base ai criteri di prevenzione diffusi dagli enti pubblici che si occupano di salute, da qualche decennio ci teniamo a distanza di sicurezza dai grassi di origine animale come lardo, strutto e burro. Approfittando del discredito gettato su di essi, l’industria ha inserito nelle proprie ricette oli e grassi di origine vegetale che, quando diversi dall’olio di oliva, sono economicamente e tecnologicamente molto convenienti per i produttori di alimenti trasformati. Dopo anni di utilizzo massiccio, arrivano i risultati degli studi sugli oli vegetali e sui loro effetti sulla salute, e iniziamo a dubitare dell’opportunità di utilizzarli abitualmente.

Una delle maggiori preoccupazioni circa il contenuto di lipidi della nostra alimentazione è costituita dallo sbilanciamento tra due categorie (o serie) di grassi, gli “omega-3” e gli “omega-6”. John Stein, professore emerito di fisiologia all’università di Oxford, sostiene che il rapporto ideale tra omega-6 e omega-3 nella dieta è di 1:1, e che questa era probabilmente la proporzione tra le due serie durante la nostra evoluzione.

Oggi, a causa del forte aumento in quello che mangiamo di grassi omega-6 (principali fonti ne sono i prodotti alimentari più o meno trasformati), l’equilibrio si è spostato verso questi ultimi, mentre non consumiamo abbastanza omega-3. Per esempio consumando il pesce solo occasionalmente, la maggior parte di noi si priva di una fonte di acidi grassi omega-3 polinsaturi a catena lunga pronti all’uso, necessari a svolgere fondamentali ruoli strutturali e funzionali. La conseguenza, continua Stein, è che laddove nel nostro organismo dovrebbe esserci per esempio l’omega-3 DHA, troviamo un acido grasso omega-6 che è privo delle caratteristiche chimico-fisiche ed elettriche che un omega-3 possiede, caratteristiche che sono importanti per il buon funzionamento, per esempio, delle membrane cellulari. Secondo il professor Stein, è l’epidemiologia a mostrare i riflessi più interessanti della questione: gli studi mostrano come il consumo abituale di cibi ricchi di omega-3 sembra poter prevenire malattie come Alzheimer, depressione, e disturbi dell’apprendimento. A essere importante, lo ripetiamo, è l’equilibrio tra gli acidi grassi delle due serie. Con l’alimentazione possiamo favorire lo spostamento dell’equilibrio verso gli omega-3. Per esempio, suggerisce il professor Stein, tra gli oli da condimento è meglio scegliere l’olio d’oliva che, grazie alla sua composizione (in cui prevalgono gli acidi grassi della serie omega-9), può aiutare la sintesi degli omega-3 che ci servono senza presentare gli effetti avversi degli oli ricchi in omega-6.

Gli oli alimentari in commercio sono moltissimi: avocado, argan, canapa, colza, girasole, mais, sesamo, oliva, cocco, e persino senape (che, però, in Europa può essere commercializzato solo “per uso esterno”). La scelta, se si desidera un’alternativa salutare all’olio d’oliva, dovrebbe cadere secondo Stein su oli che siano fonti di acidi grassi omega-3 a catena corta, in particolare su fonti di acido alfa-linolenico, che è uno dei due acidi grassi essenziali per noi esseri umani (l’altro è l’acido linoleico). L’acido alfa-linolenico è molto abbondante per esempio negli oli estratti dai semi di lino e di chia.

Per l’utilizzo a crudo il messaggio è chiaro: olio d’oliva. E per le cotture? Sugli scaffali dei supermercati troviamo un’enorme varietà di miscele di oli che, secondo quanto si legge sull’etichetta posta sul fronte del contenitore, assicurano una frittura perfetta, salutare e moderna. Durante la frittura l’olio raggiunge una temperatura tra i 170 e i 190 °C. L’esposizione a temperature così alte comporta delle modificazioni chimiche negli oli vegetali che, lo ricordiamo, sono delicati e sensibili perfino all’azione ossidante della luce solare. Sono proprio il tipo e il grado di tali modificazioni che dovrebbero suggerire i criteri di scelta. Su questo argomento è interpellato il Dr Michael Mosley, autore insieme ad altri colleghi di un esperimento sugli oli utilizzati per le cotture casalinghe.

Mosley e colleghi hanno chiesto a volontari di cucinare a casa propria con vari oli e grassi. Nell’esperimento sono stati utilizzati olio di mais, olio di girasole, e olio di vinacciolo, tutti e tre molto ricchi in acidi grassi polinsaturi; olio d’oliva (molto ricco in monoinsaturi), burro e grasso d’oca (ricchi in acidi grassi saturi). Ai partecipanti è stato chiesto di conservare per le analisi i residui della cottura. Le analisi hanno rivelato che negli oli più ricchi di polinsaturi, per esempio gli oli di girasole e di mais, l’esposizione alla temperatura di cottura determina la formazione di abbondanti aldeidi. Le aldeidi sono sostanze tossiche, in particolare sono associate a un maggior rischio di malattie cardiovascolari e cancro. Invece dove la composizione è dominata da acidi grassi saturi, noti per essere più stabili alle alte temperature, la quantità di aldeidi era molto inferiore. Ugualmente, un alto contenuto in acidi grassi monoinsaturi era associato a minore quantità di aldeidi. In conclusione i “perdenti” di questo confronto sono stati due tra gli oli più comunemente utilizzati per friggere, cioè l’olio di semi di girasole e l’olio di mais. Tra i “vincitori” ci sono invece l’olio di oliva, il burro e il grasso d’oca. Questi sono superiori anche sul piano del sapore: infatti, a parità di metodo di preparazione, i cibi cucinati con i grassi/oli più salutari, secondo i partecipanti all’esperimento, avevano un sapore migliore. Mosley e colleghi hanno poi eseguito prove di riutilizzo degli oli di frittura. Questi test hanno confermato l’inopportunità del riutilizzo, poiché una nuova esposizione alle alte temperature causa incremento nel contenuto di aldeidi.

Le indicazioni sono chiare e nel privato delle nostre cucine possiamo prendere le decisioni giuste. Invece, per i prodotti alimentari industriali (per esempio merendine, biscotti, prodotti precotti panati) è cruciale la lettura dell’etichetta e, per spingere l’industria verso l’utilizzo di ingredienti migliori, sono fondamentali la rinuncia all’acquisto e la ricerca di prodotti alternativi. Tali scelte preventive non sono applicabili ai prodotti in vendita in bar, pasticcerie e panetterie. Però vale la pena ricordare che è lecito formulare le domande: “Che olio avete usato per friggere?”, “Che olio o grasso è stato utilizzato per cucinare questa pizza?”, “Per favore, potrei consultare il libro degli ingredienti?” Formulate in maniera discreta, queste domande dovrebbero, piano piano, perdere il sapore dell’indagine con scopo diffamatorio immaginato dai gestori degli esercizi che vendono prodotti sfusi.


I grassi conferiscono ai cibi una particolare piacevolezza al palato e, nelle nostre preparazioni, aiutano i diversi ingredienti a integrarsi. Da un punto di vista nutrizionale, abbiamo visto che sono importantissimi, tanto che a qualunque età, una dieta povera, o totalmente priva, di grassi non è compatibile con la buona salute. Le testimonianze presentate qui rinnovano la fiducia in un pilastro della cultura alimentare mediterranea, l’olio d’oliva. Invece occorre consumare molto meno frequentemente i prodotti di un’industria che sceglie gli ingredienti più a buon mercato e poi vanta favolose, ma assenti, proprietà nutrizionali.

La trasmissione si può ascoltare all'indirizzo