domenica 26 ottobre 2014

Obesità infantile e antibiotici: nel microbioma intestinale forse una spiegazione



La discussione tra Tim Spector e Nicholas Finer, mediata dalle domande di Ian Sample (Guardian) e Nicola Davis (Observer), scaturisce dall’uscita su JAMA Pediatrics di un articolo che conferma la relazione tra obesità nei bambini e utilizzo di antibiotici nei primi due anni di vita: bambini che hanno assunto antibiotici per quattro o più volte durante i primi due anni hanno un rischio maggiore del 10% di diventare obesi all’età di cinque anni. La discussione offre inoltre ai due interlocutori l’occasione per raccontare qualcosa sul microbioma intestinale e i suoi possibili effetti sulla nostra salute.


Nicholas Finer, endocrinologo e esperto di obesità di University College London Hospitals commenta che la relazione obesità-antibiotici potrebbe contribuire a spiegare la velocità con cui si è diffusa l’attuale epidemia di obesità. Il fattore “stile di vita” (diminuzione dell’attività fisica, aumento dell’introito calorico), difficilmente può spiegare la rapidità della diffusione della condizione. I risultati di studi come questo richiamano l’attenzione su un altro possibile fattore ambientale, il microbioma intestinale e i suoi effetti sul bilancio energetico e sul metabolismo energetico. Nel complesso si può pensare a un meccanismo per cui i batteri alterano il metabolismo energetico, e aumentano l’efficienza con cui utilizziamo il cibo che mangiamo come fonte di energia.

Uno dei messaggi da portare a casa è che certamente occorre essere prudenti nell’uso di antibiotici. Secondo il professor Finer, al momento la cosa più giusta da fare se abbiamo il caso di un bambino che deve assumere molti cicli di antibiotici a causa di infezioni ricorrenti (per esempio, di polmonite), è monitorare successivamente quel bambino relativamente al rischio di sviluppare l’obesità.


Tim Spector, professore di epidemiologia genetica al King's College di Londra e direttore del TwinsUK Registry trova in questo contributo la conferma dell’ipotesi avanzata nel 2009 da Martin Blaser (autore del libro “Missing Microbes”, i “Microbi scomparsi”) per cui negli USA è possibile, stato per stato, correlare la prescrizione di antibiotici con i tassi di obesità. Ed è possibile seguire le modificazioni nel numero di obesi in parallelo con l’uso di antibiotici. La stessa correlazione è stata osservata anche a Bristol: assunzione di antibiotici e aumentato rischio di obesità infantile.


L’assunzione di antibiotici è qualcosa di totalmente nuovo nella storia della nostra evoluzione, ci fa notare Spector. I primi tre anni della nostra vita servono per costituire il nostro microbioma da zero fino alla situazione adulta in cui dovremmo avere il microbioma perfetto che contribuisce alla nostra immunità. Privi del nostro microbioma intestinale moriremmo, poiché quei microbi sono essenziali per contrastare le infezioni, per produrre alcune vitamine, e condizionano il modo in cui digeriamo quello che mangiamo. Negli ultimi quaranta e cinquant’anni abbiamo somministrato di routine antibiotici senza pensare ai loro possibili effetti collaterali. Per il nostro microbioma, che si è evoluto con noi per milioni di anni, i trattamenti con antibiotici rappresentano un ripetuto fall-out nucleare. La teoria ci dice che tra le conseguenze di una tale devastazione del microbioma ci sono modificazioni del nostro metabolismo e del funzionamento del nostro sistema immunitario. Questa distorsione, che noi non comprendiamo, porta a un aumento dell’obesità. Gli esperimenti sui topi mostrano che, a due o tre mesi dal trattamento con antibiotici, il nostro microbioma è per lo più ristabilito, ma gli effetti dello sconvolgimento del microbioma nel nostro corpo permangono e i topi continuano a guadagnare peso.

Ribadendo che l’obesità ha tante cause, Spector rileva che siamo rimasti bloccati all’idea che quello che conta è il numero di calorie che introduciamo. Non consideriamo che rispetto al passato a essere totalmente cambiato è il “terreno” su cui il nostro metabolismo funziona. Spector porta ad esempio un giardino. Possiamo pensare che l’unica cosa che lo fa crescere bene sia il fertilizzante, e non consideriamo che usando massicce quantità di pesticidi o modificando il terreno in vari modo si altererà la capacità produttiva di quel giardino.

Occorre far passare il messaggio che quello che mangiamo fa la differenza dentro di noi, che influisce sul metabolismo e che attraverso il cibo che consumiamo possiamo modificare il metabolismo. Allora possiamo aiutare le persone a pensare di più al cibo che si mettono nello stomaco motivandole con un meccanismo preciso, come nell’esempio del giardino. Questo approccio potrebbe essere più efficace che continuare a contare le calorie e a colpevolizzare chi ingrassa. Il motivo del sovrappeso potrebbe risiedere nella disorganizzazione dei microbi e nel fatto che il loro assetto è totalmente diverso da quello dei nostri nonni. Di conseguenza, una volta compreso che esistono questi collegamenti tra microbi e cibo, possiamo iniziare a pensare di modificare la situazione e, nel caso, per esempio, degli antibiotici di assumerne meno.


Questo tema del microbioma, non deve creare confusione. Non si tratta di ancora un altro messaggio oltre a quello di consumare una dieta diversificata che includa verdura e frutta in abbondanza. Quello che si aggiunge è la spiegazione del perché è meglio consumare quel tipo di dieta, perché essa aumenta la diversità dei nostri microbi. Le persone malate, i diabetici e gli obesi hanno microbi meno diversificati in termini di capacità di esplicare funzioni, creare reti e esprimere vie metaboliche. Una situazione di questo tipo è in generale considerata negativa. Nei topi si è visto che alterando la dieta, offrendogli meno grassi e zuccheri e più fibre, si migliora la diversità del microbioma. La speranza è che tali modificazioni migliorino la salute nell’uomo.


Nicholas Finer non ha dubbi sull’importanza della nuova prospettiva aperta dagli studi sul microbioma. Rammenta come si è già dimostrato che modificando i batteri si modifica il metabolismo del colesterolo, e come esistano associazioni con le malattie delle arterie come l’aterosclerosi. Cita poi i lavori che collegano i batteri con l’infiammazione e la permeabilità dell’intestino. Tuttavia, sostiene che occorra continuare a pensare che cambiamenti ambientali, per esempio quanto mangiamo, la densità di energia del cibo che introduciamo, l’attività fisica, siano fattori importanti


La discussione poi tocca il tema della chirurgia bariatrica. Quest’operazione, sui cui risultati positivi i due professori concordano, ha tra i tanti effetti anche quello di modificare drammaticamente il microbioma intestinale. Lo studio di queste modificazioni potrebbe portare in futuro a pianificare interventi di alterazione del microbioma senza dover operare chirurgicamente per ottenere gli stessi risultati positivi.

In conclusione, nella confusione dei messaggi nutrizionali discordanti e contraddittori che hanno circolato negli ultimi 30 o 40 anni, Nicholas Finer e Tim Spector concordano che lo studio del microbioma intestinale e dei suoi rapporti con l’ambiente potrebbe portare alla comprensione del perché qualcuno risponde a una dieta bassa in grassi, altri a una dieta alta in fibre, altri ancora a una dieta bassa in carboidrati. Questo è il lavoro cui contribuirà per esempio il British Gut Project che invita le persone a iscriversi pagando 60 sterline per avere i propri microbi analizzati e scoprire come cambiamenti nella dieta influiscono sui microbi. Perché quello che sappiamo di sicuro è che i nostri microbi sono molto differenti e le nostre risposte a diete differenti sono altrettanto diverse. 



Podcast ascoltabile e scaricabile da: http://www.theguardian.com/science/audio/2014/oct/06/antibiotics-obesity-gut-microbes-disease-podcast