lunedì 16 novembre 2015

Microbiota intestinale e cervello: l’esplorazione di una comunicazione inaspettata

Elaine Hsiao ricercatrice presso CALTHEC, California Institute of Technology, USA, presenta a Malmö, Svezia, il suo lavoro e i risultati delle ricerche sul tema Microbiota e Salute.



La dr.ssa Hsiao esordisce con un po’ di numeri con cui abbiamo già preso un po’ di familiarità in post precedenti. Il numero dei microrganismi, batteri, virus e protozoi che ospitiamo è dieci volte il numero delle nostre cellule. Nell’intestino umano vivono centinaia di trilioni di batteri appartenenti a oltre diecimila specie, equivalenti a una massa stimata tra 0,9 e 2,7 chilogrammi (il cervello di un essere umano adulto pesa tra 1,3 e 1,4 Kg). La stragrande maggioranza di essi non è patogena. Questa quantità e varietà di microbi svolge funzioni da lungo tempo conosciute:

  • ·      Da’ un contributo alla digestione e al metabolismo energetico
  • ·      Regola il sistema immunitario, modulando infiammazione e immunosoppressione
  • ·      Condiziona la nostra risposta ai farmaci


Considerando queste funzioni, si capisce l’importante ruolo che i microrganismi intestinali svolgono nella suscettibilità alle malattie. Tuttavia, studi più recenti indicano che i microbi commensali si sono evoluti con noi per svolgere anche un ruolo nello sviluppo e funzionamento del nostro cervello. Tali ricerche sono condotte colonizzando topi “germ-free” (cioè totalmente privi di microbi) con i microrganismi che si vogliono studiare. In questo modo è stato possibile evidenziare il ruolo dei batteri commensali nella regolazione di svariati comportamenti complessi tra i quali ansia, apprendimento e memoria, appetito e sazietà.

Come fa un microbo che vive nell’intestino a influenzare lo stato di salute o malattia del cervello? L’intestino è dotato di un sistema nervoso proprio, il sistema nervoso enterico, che è costituito da milioni di neuroni in grado di comunicare tra loro attraverso le stesse molecole utilizzate dalle cellule del cervello. I microbi che vivono nell’intestino possono influenzare il funzionamento del sistema nervoso enterico e possono avere effetti sul comportamento, per esempio sul livello di ansia e sul comportamento sociale, come dimostrano alcuni studi sui topi.

Tre sono i meccanismi finora noti con cui il microbiota intestinale influenza il funzionamento del cervello:
Il primo è un meccanismo diretto che consiste nell’attivazione del nervo vago il quale mette in contatto le cellule dell’epitelio intestinale con le cellule della parte posteriore del cervello. Attraverso questa via il batterio Lactobacillus rhamnosus influenza comportamenti depressivi nei topi. Per esempio, la sua presenza in topi sottoposti a stress determina un minor numero di sintomi depressivi. Tale effetto è invece assente se il nervo vago è stato resecato.

Il secondo è un meccanismo indiretto che passa per l’attivazione del sistema immunitario. Circa l’80% delle cellule immunitarie risiede nell’intestino (quindi l’intestino è l’organo del nostro corpo in cui è maggiore l’esposizione del sistema immunitario ai microrganismi e ad altri elementi estranei). I batteri intestinali possono attivare le cellule del sistema immunitario determinandone la proliferazione e possono quindi incidere sull’attività del sistema nervoso. Sappiamo che anormalità nel sistema immunitario giocano un ruolo in vari disordini neurologici, perciò si è testato il potenziale ruolo dei batteri in individui affetti da tali patologie. La Hsiao porta ad esempio la sclerosi multipla dei topi e spiega che gli animali trattati con Bacteroides fragilis resistono meglio alla malattia. Se però blocchiamo l’azione di un particolare tipo di cellule T regolatorie, lo stesso batterio non sortisce alcun beneficio. Ciò dimostra che il batterio in questione interagisce con queste particolari cellule del sistema immunitario.

La terza modalità di interazione si realizza attraverso l’attivazione del sistema endocrino intestinale. Nell’intestino esistono cellule endocrine [cioè capaci di produrre sostanze in grado di portare messaggi ad altre cellule e/o organi] che producono neuropeptidi e neurotrasmettitori. I microbi sono in grado di modificare i livelli di queste molecole prodotti dalle cellule endocrine dell’intestino. Gli stessi microbi intestinali poi producono metaboliti neuroattivi che, una volta raggiunto il circolo sanguigno, possono influenzare il funzionamento del cervello. Questa via di comunicazione è stata testata in topi che presentavano sintomi di tipo autistico: un trattamento con Bacteroides fragilis ha corretto anormalità centrali della malattia come, per esempio, il deficit di comunicazione.

E il cervello influenza il microbiota intestinale? Nei topi sì. In animali sottoposti a qualche tipo di stress il microbiota si modifica. Perciò è legittimo chiedersi qual è la relazione tra microbiota intestinale e salute del cervello. L’idea di curare il cervello agendo sui batteri intestinali non è utopica ma occorreranno molti studi prima che possa essere realizzata, in particolare sarà necessario studiare i ruoli svolti dai differenti microrganismi e anche chiarire le relazioni di causa-effetto tra quei batteri e determinate patologie. Si spera così di poter sviluppare nuove terapie. Utilizzare i batteri al posto di terapie più invasive per la cura, per esempio, di depressione, sclerosi multipla e autismo presenterebbe vari vantaggi. Per esempio, attraverso la stabilizzazione di una comunità di batteri, gli effetti della terapia potrebbero durare più a lungo. Inoltre, vista la relativa facilità di manipolazione ed eliminazione dei microbi, il microbiota “curativo” potrebbe essere prontamente modificato per migliorarne il funzionamento.

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