Jeff Leach e
altri ricercatori vogliono determinare le caratteristiche dei microbi intestinali degli Hadza, una delle ultime popolazioni di cacciatori-raccogliatori
in Africa. La domanda da cui la ricerca è partita è se la dieta di questa
popolazione che si procura il cibo esclusivamente con la caccia e la raccolta,
e il microbiota intestinale che questa dieta determina, proteggono da alcune
delle malattie croniche che affliggono noi abitanti del mondo industrializzato.
Il nostro modo di mangiare, così diverso da quello dei cacciatori-raccoglitori,
è responsabile della nostra suscettibilità a certe malattie?
Sarah Crespi di
Science interroga il giornalista Jop de Vrieze che ha seguito il lavoro di
campionamento e documentazione dell’antropologo Jeff Leach, uno
dei fondatori dell’“American Gut Project” (http://humanfoodproject.com/) che ha lo scopo di mappare il microbioma (cioè il complesso dei geni dei microbi, ndt) intestinale di migliaia di statunitensi. Jeff
visita gli insediamenti degli Hadza che vivono in Tanzania in piccoli gruppi
formati da 10 fino a 50 persone, e raccoglie campioni di feci, campioni dalle
mani, e campioni “ambientali", per esempio di cibo, animali, suolo e acqua.
Inoltre acquisisce informazioni sulla dieta.

Un altro aspetto della
microbiologia di questi gruppi riguarda il passaggio di microrganismi da un
individuo all’altro (“the social network of microbes”): poiché non esistono misure
igieniche paragonabili a quelle in uso da noi (per esempio doccia e uso di
sapone) le persone continuamente si trasmettono microrganismi, e tuttavia non
si ammalano, perciò Leach crede che debbano trarre un beneficio da queste
interazioni.
Questo gruppo di
cacciatori-raccoglitori conta 1000-1100 individui, di cui circa 200 si possono
considerare cacciatori-raccoglitori puri, perché ottengono il 99,95 % delle
calorie da attività di caccia e raccolta. Gli altri sono più occidentalizzati anche
nella dieta e consumano per esempio alimenti a base di mais e bevande
alcoliche. Questi non possono essere considerati cacciatori-raccoglitori ma
sono comunque molto interessanti poiché hanno gli stessi geni e vivono nello
stesso ambiente dei cacciatori-raccoglitori puri dai quali si differenziano per
la dieta.
E’ naturale
domandarsi se il microbiota intestinale dei cacciatori-raccoglitori Hadza sia
simile a quello dei nostri antenati cacciatori-raccoglitori. Essi, secondo de
Vrieze, sono probabilmente la migliore approssimazione che abbiamo,
considerando che vivono nello stesso luogo dei nostri primi progenitori e che
hanno uno stile di vita simile, in particolare per quel che riguarda la dieta, poiché
consumano molte fibre, mangiano carne secondo la disponibilità e, in generale, seguono
la stagione. Questi aspetti sono comuni più o meno a tutti i cacciatori
raccoglitori. Tuttavia, una volta che i progenitori lasciarono l’Africa per
colonizzare il resto del mondo, la loro alimentazione e il loro comportamento si
modificarono. Perciò, non si può parlare di un unico microbioma ancestrale.
Uno
dei motivi che ha sollecitato questa ricerca è l’incidenza molto bassa tra gli
Hadza di alcune malattie croniche molto comuni. Potrebbe esserci un legame tra
questa bassa incidenza e i loro microbi intestinali, tenendo presente anche
altri elementi del loro stato di salute e l’aspettativa di vita. I dati sulle
patologie croniche come il cancro, le malattie cardiovascolari e altre malattie
moderne sono scarsi e ci dicono che l’incidenza è molto bassa. Questa però può essere
spiegata dalla bassa speranza di vita alla nascita, trentaquattro anni. In
particolare, la mortalità tra i bambini è molto alta a causa della malaria e di
altre cause non note. Poi ci sono gli incidenti e le ferite che si infettano,
per esempio, in seguito al morso di una iena. Tenendo presente questo scenario
complesso, ci sono aspetti della salute degli Hadza che possono essere messi in
relazione con il microbiota intestinale, in particolare quelli riguardanti l’autoimmunità
e alle allergie. La teoria dice che quando il microbiota intestinale è molto eterogeneo
e bilanciato, la funzione di barriera svolta dall’intestino è particolarmente efficace
e non c’è passaggio nell’organismo di quelle sostanze prodotte da batteri che possono
provocare l’infiammazione cronica che è, a sua volta, responsabile di molte
malattie. Il microbiota intestinale potrebbe svolgere un ruolo in questo senso.
L’abbondanza di fibre nella dieta, inoltre, determina la produzione di acidi
grassi a catena corta che sembra svolgano una funzione benefica di regolazione
di vari processi nell’organismo. La maggiore quantità di molecole di questo
tipo negli Hadza potrebbe spiegare la minore incidenza di certe malattie nella
popolazione.
Riguardo alla
diversificazione del microbiota negli Hadza, il loro stile di vita gli procura
il contatto con una grande varietà di microbi. Per esempio durante le battute
di caccia
e, in particolare, durante la macellazione, che avviene nel luogo
dove l’animale è stato ucciso, i cacciatori consumano crudi alcuni organi,
altre parti invece sono arrostite un po’ sul fuoco. Poi, con il contenuto
fibroso dello stomaco gli uomini si sfregano le mani insanguinate. Tutte queste
attività li espongono a moltissimi microbi, e Leach ha ovviamente raccolto
campioni anche in questa situazione, tanto diversa microbiologicamente dalle
condizioni e dai modi in cui noi manipoliamo, trasformiamo e consumiamo il
nostro cibo.
Sui campioni
ottenuti da Leach vari laboratori svolgeranno le analisi delle sequenze
genomiche a scopo tassonomico e per identificare la funzione dei geni. I
risultati saranno confrontati con i dati disponibili sul microbiota occidentale
e “americano”, e con quelli del progetto “American Gut Population” che
includono anche dati di persone che seguono diete estreme. Per studiare
l’impatto di microbi specifici saranno svolti esperimenti utilizzando topi
“germ free”, cioè cresciuti senza microbi. Inoltre, si cercherà di chiarire aspetti
della comunicazione tra i microbi e il corpo [dell’ospite] studiando
particolari molecole prodotte dai batteri e dall’essere umano.
http://www.sciencemag.org/content/343/6168/331.2.short