Questa volta non un podcast audio o video ma la traduzione del riassunto che Lisa D. Chong fa dei risultati di Thaiss e colleghi apparsi su Cell.
"Lo sconvolgimento dei nostri ritmi circadiani aumenta il rischio di sviluppare il diabete, il cancro e le malattie cardiovascolari. Gli scienziati però non riescono a spiegare del tutto questo fenomeno. Thaiss e colleghi ora riferiscono su Cell che le condizioni che causano il jet lag modificano la composizione e l'attività dei microbi intestinali nei topi, e ciò può portare a sviluppare malattie metaboliche. La composizione del microbiota intestinale non fluttuava più nel corso della giornata in topi con i ritmi circadiani stravolti, ma la somministrazione di cibo ad un ritmo normale o il trapianto di microbi intestinali da topi normali ripristinavano le oscillazioni. Topi normali che avevano ricevuto trapianti di microbi intestinali da persone con jet lag o da topi che avevano subito una modificazione nel ritmo giorno-notte aumentavano di peso e sviluppavano i sintomi della malattia metabolica."
Science 14 November 2014: 823 . [DOI:10.1126/science.346.6211.823-a]
Recensioni di podcast audio e video su temi di nutrizione
domenica 16 novembre 2014
domenica 26 ottobre 2014
Obesità infantile e antibiotici: nel microbioma intestinale forse una spiegazione
La discussione
tra Tim Spector e Nicholas Finer, mediata dalle domande di Ian Sample (Guardian)
e Nicola Davis (Observer), scaturisce dall’uscita su JAMA Pediatrics di un articolo
che conferma la relazione tra obesità nei bambini e utilizzo di antibiotici nei
primi due anni di vita: bambini che hanno assunto antibiotici per quattro o più
volte durante i primi due anni hanno un rischio maggiore del 10% di diventare
obesi all’età di cinque anni. La discussione offre inoltre ai due interlocutori
l’occasione per raccontare qualcosa sul microbioma intestinale e i suoi
possibili effetti sulla nostra salute.
Nicholas Finer, endocrinologo
e esperto di obesità di University College London Hospitals commenta che la relazione
obesità-antibiotici potrebbe contribuire a spiegare la velocità con cui si è
diffusa l’attuale epidemia di obesità. Il fattore “stile di vita” (diminuzione
dell’attività fisica, aumento dell’introito calorico), difficilmente può spiegare
la rapidità della diffusione della condizione. I risultati di studi come questo
richiamano l’attenzione su un altro possibile fattore ambientale, il microbioma
intestinale e i suoi effetti sul bilancio energetico e sul metabolismo
energetico. Nel complesso si può pensare a un meccanismo per cui i batteri alterano
il metabolismo energetico, e aumentano l’efficienza con cui utilizziamo il cibo
che mangiamo come fonte di energia.
Uno dei messaggi
da portare a casa è che certamente occorre essere prudenti nell’uso di
antibiotici. Secondo il professor Finer, al momento la cosa più giusta da fare se
abbiamo il caso di un bambino che deve assumere molti cicli di antibiotici a
causa di infezioni ricorrenti (per esempio, di polmonite), è monitorare
successivamente quel bambino relativamente al rischio di sviluppare l’obesità.
Tim Spector, professore di epidemiologia
genetica al King's College di Londra e direttore del TwinsUK Registry trova in
questo contributo la conferma
dell’ipotesi avanzata nel 2009 da Martin Blaser (autore del libro “Missing
Microbes”, i “Microbi scomparsi”) per cui negli USA è possibile, stato per
stato, correlare la prescrizione di antibiotici con i tassi di obesità. Ed è
possibile seguire le modificazioni nel numero di obesi in parallelo con l’uso
di antibiotici. La stessa correlazione è stata osservata anche a Bristol: assunzione
di antibiotici e aumentato rischio di obesità infantile.
L’assunzione di
antibiotici è qualcosa di totalmente nuovo nella storia della nostra evoluzione,
ci fa notare Spector. I primi tre anni della nostra vita servono per costituire
il nostro microbioma da zero fino alla situazione adulta in cui dovremmo avere
il microbioma perfetto che contribuisce alla nostra immunità. Privi del nostro
microbioma intestinale moriremmo, poiché quei microbi sono essenziali per
contrastare le infezioni, per produrre alcune vitamine, e condizionano il modo
in cui digeriamo quello che mangiamo. Negli ultimi quaranta e cinquant’anni
abbiamo somministrato di routine antibiotici senza pensare ai loro possibili
effetti collaterali. Per il nostro microbioma, che si è evoluto con noi per
milioni di anni, i trattamenti con antibiotici rappresentano un ripetuto
fall-out nucleare. La teoria ci dice che tra le conseguenze di una tale
devastazione del microbioma ci sono modificazioni del nostro metabolismo e del
funzionamento del nostro sistema immunitario. Questa distorsione, che noi non
comprendiamo, porta a un aumento dell’obesità. Gli esperimenti sui topi
mostrano che, a due o tre mesi dal trattamento con antibiotici, il nostro
microbioma è per lo più ristabilito, ma gli effetti dello sconvolgimento del
microbioma nel nostro corpo permangono e i topi continuano a guadagnare peso.
Ribadendo che
l’obesità ha tante cause, Spector rileva che siamo rimasti bloccati all’idea che
quello che conta è il numero di calorie che introduciamo. Non consideriamo che
rispetto al passato a essere totalmente cambiato è il “terreno” su cui il
nostro metabolismo funziona. Spector porta ad esempio un giardino. Possiamo pensare che
l’unica cosa che lo fa crescere bene sia il fertilizzante, e non consideriamo
che usando massicce quantità di pesticidi o modificando il terreno in vari modo
si altererà la capacità produttiva di quel giardino.
Occorre far passare
il messaggio che quello che mangiamo fa la differenza dentro di noi, che influisce
sul metabolismo e che attraverso il cibo che consumiamo possiamo modificare il
metabolismo. Allora possiamo aiutare le persone a pensare di più al cibo che si
mettono nello stomaco motivandole con un meccanismo preciso, come nell’esempio
del giardino. Questo approccio potrebbe essere più efficace che continuare a
contare le calorie e a colpevolizzare chi ingrassa. Il motivo del sovrappeso potrebbe
risiedere nella disorganizzazione dei microbi e nel fatto che il loro assetto è
totalmente diverso da quello dei nostri nonni. Di conseguenza, una volta compreso
che esistono questi collegamenti tra microbi e cibo, possiamo iniziare a
pensare di modificare la situazione e, nel caso, per esempio, degli antibiotici
di assumerne meno.
Questo tema del
microbioma, non deve creare confusione. Non si tratta di ancora un altro
messaggio oltre a quello di consumare una dieta diversificata che includa verdura
e frutta in abbondanza. Quello che si aggiunge è la spiegazione del perché è
meglio consumare quel tipo di dieta, perché essa aumenta la diversità dei
nostri microbi. Le persone malate, i diabetici e gli obesi hanno microbi meno
diversificati in termini di capacità di esplicare funzioni, creare reti e esprimere
vie metaboliche. Una situazione di questo tipo è in generale considerata
negativa. Nei topi si è visto che alterando la dieta, offrendogli meno grassi e
zuccheri e più fibre, si migliora la diversità del microbioma. La speranza è
che tali modificazioni migliorino la salute nell’uomo.
Nicholas Finer
non ha dubbi sull’importanza della nuova prospettiva aperta dagli studi sul
microbioma. Rammenta come si è già dimostrato che modificando i batteri si
modifica il metabolismo del colesterolo, e come esistano associazioni con le
malattie delle arterie come l’aterosclerosi. Cita poi i lavori che collegano i
batteri con l’infiammazione e la permeabilità dell’intestino. Tuttavia,
sostiene che occorra continuare a pensare che cambiamenti ambientali, per esempio
quanto mangiamo, la densità di energia del cibo che introduciamo, l’attività
fisica, siano fattori importanti
La discussione
poi tocca il tema della chirurgia bariatrica. Quest’operazione, sui cui
risultati positivi i due professori concordano, ha tra i tanti effetti anche
quello di modificare drammaticamente il microbioma intestinale. Lo studio di
queste modificazioni potrebbe portare in futuro a pianificare interventi di
alterazione del microbioma senza dover operare chirurgicamente per ottenere gli
stessi risultati positivi.
In conclusione, nella
confusione dei messaggi nutrizionali discordanti e contraddittori che hanno
circolato negli ultimi 30 o 40 anni, Nicholas Finer e Tim Spector concordano
che lo studio del microbioma intestinale e dei suoi rapporti con l’ambiente
potrebbe portare alla comprensione del perché qualcuno risponde a una dieta
bassa in grassi, altri a una dieta alta in fibre, altri ancora a una dieta
bassa in carboidrati. Questo è il lavoro cui contribuirà per esempio il British
Gut Project che invita le persone a iscriversi pagando 60 sterline per avere i
propri microbi analizzati e scoprire come cambiamenti nella dieta influiscono
sui microbi. Perché quello che sappiamo di sicuro è che i nostri microbi sono
molto differenti e le nostre risposte a diete differenti sono altrettanto diverse.
Podcast
ascoltabile e scaricabile da: http://www.theguardian.com/science/audio/2014/oct/06/antibiotics-obesity-gut-microbes-disease-podcast
Etichette:
antibiotici,
microbiota,
obesità infantile
Ubicazione:
Italia
lunedì 20 gennaio 2014
Sangue fibre e … niente sapone: lo stile di vita che porta a un microbiota intestinale florido e robusto è quello dei cacciatori-raccoglitori della Tanzania?
Jeff Leach e
altri ricercatori vogliono determinare le caratteristiche dei microbi intestinali degli Hadza, una delle ultime popolazioni di cacciatori-raccogliatori
in Africa. La domanda da cui la ricerca è partita è se la dieta di questa
popolazione che si procura il cibo esclusivamente con la caccia e la raccolta,
e il microbiota intestinale che questa dieta determina, proteggono da alcune
delle malattie croniche che affliggono noi abitanti del mondo industrializzato.
Il nostro modo di mangiare, così diverso da quello dei cacciatori-raccoglitori,
è responsabile della nostra suscettibilità a certe malattie?
Sarah Crespi di
Science interroga il giornalista Jop de Vrieze che ha seguito il lavoro di
campionamento e documentazione dell’antropologo Jeff Leach, uno
dei fondatori dell’“American Gut Project” (http://humanfoodproject.com/) che ha lo scopo di mappare il microbioma (cioè il complesso dei geni dei microbi, ndt) intestinale di migliaia di statunitensi. Jeff
visita gli insediamenti degli Hadza che vivono in Tanzania in piccoli gruppi
formati da 10 fino a 50 persone, e raccoglie campioni di feci, campioni dalle
mani, e campioni “ambientali", per esempio di cibo, animali, suolo e acqua.
Inoltre acquisisce informazioni sulla dieta.

Un altro aspetto della
microbiologia di questi gruppi riguarda il passaggio di microrganismi da un
individuo all’altro (“the social network of microbes”): poiché non esistono misure
igieniche paragonabili a quelle in uso da noi (per esempio doccia e uso di
sapone) le persone continuamente si trasmettono microrganismi, e tuttavia non
si ammalano, perciò Leach crede che debbano trarre un beneficio da queste
interazioni.
Questo gruppo di
cacciatori-raccoglitori conta 1000-1100 individui, di cui circa 200 si possono
considerare cacciatori-raccoglitori puri, perché ottengono il 99,95 % delle
calorie da attività di caccia e raccolta. Gli altri sono più occidentalizzati anche
nella dieta e consumano per esempio alimenti a base di mais e bevande
alcoliche. Questi non possono essere considerati cacciatori-raccoglitori ma
sono comunque molto interessanti poiché hanno gli stessi geni e vivono nello
stesso ambiente dei cacciatori-raccoglitori puri dai quali si differenziano per
la dieta.
E’ naturale
domandarsi se il microbiota intestinale dei cacciatori-raccoglitori Hadza sia
simile a quello dei nostri antenati cacciatori-raccoglitori. Essi, secondo de
Vrieze, sono probabilmente la migliore approssimazione che abbiamo,
considerando che vivono nello stesso luogo dei nostri primi progenitori e che
hanno uno stile di vita simile, in particolare per quel che riguarda la dieta, poiché
consumano molte fibre, mangiano carne secondo la disponibilità e, in generale, seguono
la stagione. Questi aspetti sono comuni più o meno a tutti i cacciatori
raccoglitori. Tuttavia, una volta che i progenitori lasciarono l’Africa per
colonizzare il resto del mondo, la loro alimentazione e il loro comportamento si
modificarono. Perciò, non si può parlare di un unico microbioma ancestrale.
Uno
dei motivi che ha sollecitato questa ricerca è l’incidenza molto bassa tra gli
Hadza di alcune malattie croniche molto comuni. Potrebbe esserci un legame tra
questa bassa incidenza e i loro microbi intestinali, tenendo presente anche
altri elementi del loro stato di salute e l’aspettativa di vita. I dati sulle
patologie croniche come il cancro, le malattie cardiovascolari e altre malattie
moderne sono scarsi e ci dicono che l’incidenza è molto bassa. Questa però può essere
spiegata dalla bassa speranza di vita alla nascita, trentaquattro anni. In
particolare, la mortalità tra i bambini è molto alta a causa della malaria e di
altre cause non note. Poi ci sono gli incidenti e le ferite che si infettano,
per esempio, in seguito al morso di una iena. Tenendo presente questo scenario
complesso, ci sono aspetti della salute degli Hadza che possono essere messi in
relazione con il microbiota intestinale, in particolare quelli riguardanti l’autoimmunità
e alle allergie. La teoria dice che quando il microbiota intestinale è molto eterogeneo
e bilanciato, la funzione di barriera svolta dall’intestino è particolarmente efficace
e non c’è passaggio nell’organismo di quelle sostanze prodotte da batteri che possono
provocare l’infiammazione cronica che è, a sua volta, responsabile di molte
malattie. Il microbiota intestinale potrebbe svolgere un ruolo in questo senso.
L’abbondanza di fibre nella dieta, inoltre, determina la produzione di acidi
grassi a catena corta che sembra svolgano una funzione benefica di regolazione
di vari processi nell’organismo. La maggiore quantità di molecole di questo
tipo negli Hadza potrebbe spiegare la minore incidenza di certe malattie nella
popolazione.
Riguardo alla
diversificazione del microbiota negli Hadza, il loro stile di vita gli procura
il contatto con una grande varietà di microbi. Per esempio durante le battute
di caccia
e, in particolare, durante la macellazione, che avviene nel luogo
dove l’animale è stato ucciso, i cacciatori consumano crudi alcuni organi,
altre parti invece sono arrostite un po’ sul fuoco. Poi, con il contenuto
fibroso dello stomaco gli uomini si sfregano le mani insanguinate. Tutte queste
attività li espongono a moltissimi microbi, e Leach ha ovviamente raccolto
campioni anche in questa situazione, tanto diversa microbiologicamente dalle
condizioni e dai modi in cui noi manipoliamo, trasformiamo e consumiamo il
nostro cibo.
Sui campioni
ottenuti da Leach vari laboratori svolgeranno le analisi delle sequenze
genomiche a scopo tassonomico e per identificare la funzione dei geni. I
risultati saranno confrontati con i dati disponibili sul microbiota occidentale
e “americano”, e con quelli del progetto “American Gut Population” che
includono anche dati di persone che seguono diete estreme. Per studiare
l’impatto di microbi specifici saranno svolti esperimenti utilizzando topi
“germ free”, cioè cresciuti senza microbi. Inoltre, si cercherà di chiarire aspetti
della comunicazione tra i microbi e il corpo [dell’ospite] studiando
particolari molecole prodotte dai batteri e dall’essere umano.
http://www.sciencemag.org/content/343/6168/331.2.short
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